Ora tocca a me salutarti, ma non so nemmeno da che parte iniziare. Salutarti per andare dove, poi? Sei presente adesso, come lo sei sempre stato. Seduto su quella tua sedia in cucina, ad osservare il tuo “raggio di sole” muoversi goffamente per casa, ciabattando con le tue pantofole «perché sto più comoda». Lo faccio nel modo in cui riesco meglio, mentre nessuno può vedermi o farmi domande stupide del tipo «come stai?», «come ti senti?» o, la peggio di tutte, dicendomi: «condoglianze». Vorrei proprio sapere chi è quello stronzo che per primo ha inventato questa parola. Ti scrivo, e piango. Ma ti prometto che non lo farò più. Rido pure, perché non so parlare di te senza ridere almeno un po’. In fondo sei tu quello che più ci ha insegnato a sorridere sopra qualunque cosa, un po’ come a voler sbeffeggiare questa vita che ti ha tolto, ma pure tanto ti ha dato. Ho immaginato così tante volte come sarebbe stato questo momento. Perdervi, intendo. Mi dicevo «guarda che prima poi accadrà, e così che deve andare», ma poi non c’è stato giorno in cui non ho pregato vita eterna per te, per voi. Pietre miliari della mia enorme famiglia: ecco cosa eravate e siete per me. Un tutt’uno che non riuscirò mai a scindere. Ma poi è arrivato davvero il momento, ed io mi sono trovata impreparata come al solito. Tutti i miei auto-consigli sono andati a farsi fottere dentro un pianto disperato, fuori da una piadineria qualunque. È un dolore così forte e intimo, che travaglia lo stomaco, la pancia, le gambe e arriva al cuore, fino a sentirti male. Mi piace pensare che Tu sia lì fuori, in giro chissà dove a dar da mangiare a i tuoi amati “inquilini”, solo che io non posso vederti. Ti urlo a gran voce, come ho fatto dieci, cento, mille milioni di volte, ma solo questa volta non risponderai, ché «sei diventato un pochino sordo». Mi piace immaginarti in riva al fiume a raccogliere pietre che tanto ti piacevano; oppure lì con Zeus a falciare il grano o fare il fieno. Quante volte ci hai portato con te su quel tuo trattore, e quante strigliate ti sei preso dalla nonna ‘mpicciona che aveva paura. Sento così vicino quelle urla, che se mi giro riesco perfino a vedere il comico teatrino che mettevate in scena ogni giorno. E ogni volta finivi per dire sempre la stessa e buffissima frase: «senti quanto sbuffa la signora?!». Riesco a vederti in così tanti posti, che nemmeno un secondo penso a dove sei realmente. Mi piace pensarti così, con quel sorriso nascosto dai tuoi giganti baffi. È l’unico modo che ho per salvaguardarmi da tutta questa tristezza e dolore che provo. È il modo più bello che ho per riportarti in vita ogni giorno. Caro nonno, ti disturbo ancora un po’, perché ci sono due o tre cosette che devo presto dirti. 1 - i tuoi "inquilini" stanno bene; le nostre pance ancora di più. 2 - il limoncello è venuto buonissimo; molto pi del vino. 3 - te li ho pettinati i baffi così farai sicuramente bella figura, caro Pazzaglia. 4 - non preoccuparti per il tuo “raggio di sole”. È forte, coraggiosa e tanto tanto tignosa. Non la abbandoneremo mai. 5 - alla piccola Sara racconteremo noi di quel nonno Antonio a cui tanto (tanto) somiglia. 6 - siamo fieri di te, perché più di ogni altra cosa, ci hai insegnato una grandissima verità: oltrepassare il dolore facendo sì che tutto quello che ci circonda sia motivo di gioia, allegria e un ottima scusa per cantare piemontesina bella. 7 - grazie per averci insegnato ad accogliere tutti nella tua grande casa. 8 - ci mancherai terribilmente, soprattutto i tuoi baci sulla nuca. 9 - ti vogliamo bene. In quanto a me, non posso dirti altro che «ciao nonno» e assicurarti che manterrò la mia promessa: sarai il primo a cui farò assaggiare i miei cappelletti.
0 Comments
C'è un paese di nome Absurdistan. Una Repubblica che «garantisce i diritti inviolabili dell'uomo». I padri fondatori - l'Assemblea costituente - nel 1947 approvarono la più grande Costituzione absurdiastiana, tutt'ora vigente. Tale Legge - quindi lo Stato Absurdistan che applica la Costituzione - sancisce che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Come in ogni altro Stato, in Absurdistan un geometra qualunque, il 15 ottobre 2009, viene fermato dalla polizia per possesso di hashish e cocaina. Portato in questura e, accertato il reato commesso, «[...]nei casi e modi previsti dalla legge», il geometra viene messo sotto custodia cautelare per possesso di sostante stupefacenti. Processato per direttissima, il giudice fissa una nuova udienza convalidando il fermo del geometra. Solo nel paese dell'Absurdistan il 22 ottobre 2009 un geometra qualunque muore, ma nessuno lo ha ucciso. Lesioni ed echimosi alle gambe, una frattura alla mascella e due alla colonna vertebrale; trauma alla vescica; pesa solamente 37 chilogrammi. Solo nel paese dell'Absurdistan un geometra qualunque muore di malnutrizione, oltre che di gravissime lesione corporee, durante un fermo di custodia cautelare. Solo nella Repubblica dell'Absurdistan dove «è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà» un geometra qualunque muore per colpa di nessuno. In ogni Stato "normale" ,in presenza di un'illegalità ognuno è chiamato a rispondere del proprio illecito. In uno Stato "normale", in cui l'uso di stupefacenti è vietato, l'arresto o il fermo cautelare è ciò che la legge prevede. Che ci piaccia o no. Ma solo in un paese assurdo com'è l'Absurdistan un geometra o un ragazzo qualunque che tornava a casa vengono massacrati e lasciati morire come bestie da macello. E poco importa se ad essere morto sia uno Stefano o un Federico qualunque. Quella custodia che tanto avrebbe dovuto proteggerli per «tendere alla rieducazione del condannato» ha finito per schiacciarli vivi. Custodia - vignetta di Makkox (andato in onda durante la puntata di Gazebo di domenica 2 novembre 2014, su RaiTre). "Un flusso irrefrenabile di vita. E di volontà di resistenza continua, continua..." . Resistenza ad una grande malattia, come il cancro al seno. Resistenza a qualsiasi brutta malattia che ogni donna, purtroppo, si trova a combattere. Come Federica Fioribello e la sua incredibile storia. Che della sua battaglia (che ha vinto!) ne ha fatto una missione per aiutare milioni di donne. Nasce così 17.1 - FUORI DI SENO, una comunità web fondata proprio da Federica, con lo scopo di raccogliere fondi destinati alla LILT (Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori). "Un destino segnato dall'energia del sole, dalla carica dei sorrisi e dalla presenza costante del numero 17, condito con amicizie vere e sostenuto dall'amore di un uomo e di una madre.La mia battaglia l'ho vinta così. La tua combattiamola insieme". La storia di Federica l'ho conosciuta per caso, spulciando il blog della modella Alice Basso. Un lungo articolo racconta "[...] la sua storia, la sua malattia, le sue paure, i suoi pensieri, l'operazione, la chemio e la sua Rinascita ". Con le lacrime agli occhi, non ho atteso un attimo in più e le ho scritto. "Cara Federica, ti scrivo senza conoscerti ma avendo letto il blog di Alice Basso e il racconto della tua grandiosa battaglia, mi sembra di conoscerti da sempre. Forse chi ha combattuto e sta combattendo per una stessa battaglia (anche se non in modo diretto), si sente legata all' altra con un filo rosa indissolubile; benché le proprie vite non siano venute mai in contatto e forse mai lo faranno. [...]". È proprio con il sorriso, che ho deciso di acquistare la maglia 17.1 - FUORI DI SENO. Con lo stesso sorriso con cui Federica ha affrontato la sua battaglia più grande; con lo stesso sorriso che ogni donna dovrebbe avere sul suo volto spento, perché attraversato da questa assurda malattia. "Il sorriso è la mia filosofia...ma non è solo apparente...parte da dentro!!". È un appello il mio, affinché l'impegno di Federica nel creare questa attività non rimanga nel buio. C'è bisogno di costanti ricerche per poter mettere un freno ai continui e sempre più frequenti casi tumorali, specialmente nelle donne. Acquistiamo le maglie; raccogliamo fondi per la ricerca. "SE NON ORA, QUANDO?". Per maggiori informazioni e l'acquisto delle magliette, potete contattare Federica Fioribello all'indirizzo facebook 17.1 - FUORI DI SENO. Librati nell'aria, dolce Reyhaneh. Che le tue ultime volontà da donna libera della sua volontà possano essere esaudite. (Segue la lettera che Reyhaneh ha scritto a sua madre, Sholeh). "Cara Sholeh, oggi ho saputo che per me è arrivato il momento di affrontare laQisas (la legge del taglione del regime iraniano). Mi ferisce che non mi abbia fatto sapere tu stessa che ero arrivata all’ultima pagina del libro della mia vita. Non credi che avrei dovuto saperlo? Lo sai quanto mi vergogno della tua tristezza. Perché non mi hai dato la possibilità di baciare la tua mano e quella di papà? Sono stata gettata nelle prigioni, che sono tombe. Il mondo mi ha concesso di vivere per 19 anni. Quella malaugurata notte avrei dovuto essere uccisa. Il mio corpo sarebbe stato gettato in un qualche angolo della città e dopo qualche giorno la polizia ti avrebbe portato all’obitorio per identificare il mio corpo e là avresti saputo che ero anche stata stuprata. L’assassino non sarebbe mai stato trovato, dato che non siamo né ricchi né potenti come lui. Poi tu avresti continuato la tua vita con sofferenza e vergogna e qualche anno dopo saresti morta per questo dolore. Sarebbe andata così. Ma con quel maledetto colpo la storia è cambiata. Il mio corpo non è stato gettato da qualche parte, ma nella tomba della prigione diEvin e della sua sezione di isolamento. E ora nella prigione-tomba di Shahr-e Ray. Ma arrenditi al destino e non lamentarti. Tu sai bene che la morte non è la fine della vita. Mi hai insegnato che per i valori bisogna perseverare, fino a dare la vita. Tu mi hai insegnato che si arriva in questo mondo per fareesperienza e imparare la lezione e che ogni nascita porta con sé una responsabilità. Ho imparato che a volte bisogna lottare. Mi ricordo quando mi dicesti di quel conducente che si mise a protestare contro l’uomo che mi stava frustando. Ma lui iniziò a frustarlo sulla testa e sul volto finché non morì. Tu mi hai detto che per i valori si deve perseverare, anche a costo di morire. Tu ci hai insegnato, quando andavamo a scuola, che bisogna essere signore di fronte alle liti e alle lamentele. Ti ricordi quanto mettevi in evidenza il modo in cui ci comportavamo? La tua visione era sbagliata. A fronte di quanto mi è successo, queste lezioni non mi sono servite. Essermi presentata davanti alla corte mi ha fatto passare per un’assassina a sangue freddo e unacriminale spietata. Non ho versato lacrime. Non ho supplicato. Non mi sono disperata, perché avevo fiducia nella legge. Cara Sholeh, non piangere e non vestirti a lutto per me. Ma sono stata accusata di restare indifferente di fronte ad uncrimine. Lo sai, non uccidevo neanche le zanzare e scansavo gli scarafaggi prendendoli per le antenne. E ora sono colpevole diomicidio premeditato. Il modo in cui trattavo gli animali è stato interpretato come un comportamento da ragazzo. Il giudice non si è neanche preoccupato di considerare il fatto che all’epoca dell’incidente avevo le unghie lunghe e laccate. Quant’è ottimista colui che si aspetta giustizia dai giudici! Il giudice non ha mai contestato il fatto che le mie mani non fossero ruvide come quelle di uno sportivo o di un pugile. E questo paese che tu mi hai insegnato ad amare non mi ha mai voluto. E nessuno mi ha sostenuto quando sotto i colpi degli inquirenti gridavo e sentivo le parole più volgari. Quando ho perduto l’ultima traccia della mia bellezza, rasandomi i capelli, sono stata ricompensata: 11 giorni di isolamento. Cara Sholeh, non piangere per ciò che stai sentendo. Il primo giorno in cui alla stazione di polizia una vecchia agente zitellami ha schiaffeggiato per le mie unghie, ho capito che la bellezza di questi tempi non è apprezzata. La bellezza dell’aspetto, la bellezza dei pensieri e dei desideri, una bella scrittura, la bellezza degli occhi e della visione. E persino la bellezza di una voce dolce. Mia cara madre, il mio modo di pensare è cambiato, ma tu non ne sei responsabile. Le mie parole sono per sempre e le ho affidate a una persona in modo che, quando verrò giustiziata a tua insaputa, ti siano consegnate. In eredità, ti lascio molti dei miei scritti. Ecco l’unica cosa che voglio da te. Devi realizzarla ad ogni costo. Prima di morire, però, voglio qualcosa da te, che ti chiedo di realizzare ad ogni costo. In realtà è l’unica cosa che voglio da questo mondo, da questo paese e da te. So che per farlo avrai bisogno di tempo. Perciò ti comunico prima una parte delle mie volontà. Ti prego, non piangere e ascolta. Voglio che tu vada in tribunale e comunichi a tutti la mia richiesta. Non posso scrivere una lettera simile dalla prigione che possa essere approvata dal direttore. Perciò, ancora una volta, dovrai soffrire per causa mia. E’ l’unica cosa per la quale, se implorerai, non mi arrabbierò. Anche se ti ho detto molte volte di non implorare per salvarmi dall’esecuzione. Mia dolce madre, cara Sholeh, l’unica cosa che mi è più cara della mia stessa vita, non voglio marcire sottoterra. Non voglio che i miei occhi o il mio giovane cuore diventino polvere. Prega perché venga disposto che, non appena sarò stata impiccata il mio cuore, i miei reni, i miei occhi, le ossa e qualunque altra cosa che possa essere trapiantata venga presa dal mio corpo e data a qualcuno che ne ha bisogno, come un dono. Non voglio che ildestinatario conosca il mio nome, compratemi un mazzo di fiori, oppure pregate per me. Ti dico dal profondo del mio cuore che non voglio avere una tomba dove tu andrai a piangere e a soffrire. Non voglio che tu ti vesta a lutto per me. Fai di tutto per dimenticare i miei giorni difficili. Lascia che il vento mi porti via. Il mondo non ci ama. Un giorno vedremo se Dio sarà dalla nostra parte Il mondo non ci ama. Non ha voluto che si compisse il miodestino. E ora mi arrendo a lui e abbraccio la morte. Perché di fronte al tribunale di Dio io accuserò gli inquirenti, accuserò l’ispettore Shamlou, accuserò il giudice e i giudici della Corte Suprema che mi hanno picchiato mentre ero sveglia e non hanno smesso di minacciarmi. Nel tribunale del creatore accuserò il Dottor Farvandi, accuserò Qassem Shabani e tutti coloro che per ignoranza e con le loro bugie mi hanno fatto del male e calpestato i miei diritti e non si sono accorti che la realtà, a volte, non è ciò che appare. Cara Sholeh dal cuore tenero, nell’altro mondo gli accusatori saremmo tu ed io, mentre gli altri saranno gli imputati. Vediamo cosa vuole Dio. Vorrei abbracciarti fino alla morte. Ti voglio bene." Reyhaneh (fonte: il Fatto Quotidiano) Questa mattina – mentre mangiavo a fatica il mio biscotto quotidiano, per poter finalmente prendere l’antibiotico – mi sono soffermata ad osservare un’immagine. In realtà ne ho solo udito i rumori, ma è una scena già vista centinaia e centinaia di volte. La mia casa, dalle 6.50 alle 7.40 prende vita, letteralmente. Boom, esplode!! 50 minuti in cui tre persone (mio padre, mia madre e mio fratello) si muovono contemporaneamente, in modo quasi meccanico e in perfetta sintonia. La sveglia che suona e mio padre che si alza. Sempre 10 minuti prima di tutti, perché anche lui, dopo tutto piace svegliarsi con calma. E benché a casa mia ci siano tre bagni, a tutti noi pesa fare le scale per scendere o salire di un piano. Preferiamo fare la coda, quasi fossimo alle poste o alla cassa automatica (eh si! Qualche volta ci scappa anche l’insulto con chi sta dentro). Quindi mio padre non vuole perdere il posto, il primato insomma. Esce e scatta il numerino, mia madre si intrufola per non far uscire nemmeno un briciolo di calore. Il suono dell’acqua che scorre e tocca il suo viso, mischiato al rumore della Moka che sale. Santa colazione a casa Brozzetti. Si apparecchia la tavola a festa (“casomai arrivasse qualcuno”), perché a noi piace scegliere, per poi ricadere – ovviamente – ognuno sempre sulle stesse cose mangiate la mattina prima (e prima, e ancora prima, fino agli ultimi dieci anni di vita). Prima mio padre e mia madre - che fanno da sempre colazione insieme, poi mio fratello. Ha una sveglia tutta sua, lui. Non il telefono, non la radio sveglia. Ha una sveglia molto più tosta, ma molto (molto) d’effetto. Le urla di mio padre che ogni mattina lo fanno tirar giù dal letto a fatica, che lo spingono in bagno, poi a fare colazione ed infine in macchina per raggiungere il pullman. Sotto la mia finestra il suono assordante del clacson che mio padre suona incessantemente, mentre in casa mia madre urla scandendo i minuti - iniziando dalle 7.25 – quasi da un secondo all’altro scoppiasse una bomba: “setteeventicinqueeeee… setteeventiseiiiiiiiii… setteeventisetteeeeeee… setteventottoooooo…” E così via, finché mio fratello non sarà fuori dal portone, e lei si sentirà soddisfatta di avercela fatta anche questa mattina. Boom! Il portone sbatte e metà della famiglia è già fuori. Rimane la scia delle chiavi che continuano a sbattere contro la serratura della porta. Diin, Diin, Diin, Diin, Diin, Diin, Diin, Diin, Diin, Diin. Un suono forte, poi sempre più lieve, fino all’ultimo Diin, quasi impercettibile. Poi il silenzio più assoluto. Io nel letto, e mia madre che fa le sue cose, silenziosamente. C’è rimasta solo lei, che si affretta a fare tutto quello che può, sempre in perenne ritardo. Se la prende con gli orologi, che le ricordano sempre troppo spesso di quanto sia (troppo) tardi. Quando sono in ritardo io – cioè sempre – casa diventa piena di ostacoli e non faccio altro che correre da una stanza all’altra alla ricerca di non so bene nemmeno io cosa. Urlo con il vento, faccio tremare casa. Ma lei no. Nel suo caos lei è tremendamente silenziosa: né i suoi passi, né la sua voce, né i suoi movimenti, niente. Solo un unico rumore echeggia da lontano, quello della tv accesa. Spenta la tv, un altro battito di portone e poi niente più. Solo un abissale silenzio. Sono le 7.40 e la casa ha già smesso di essere in movimento. Ormai persa sotto otto chili di coperte a causa di una bruttissima tonsillite (quindi febbre) non posso far altro che pensare e guardare dalla mia finestra le foglie cadere. E dato che la notte non riesco a dormire, inverto orari e abitudini. Solitamente mi addormento quando tutti gli altri sono a scuola e passeggio per casa quando gli altri sono persi nei loro sogni. Non avevo mai fatto caso a questa nostra abitudine, o per lo meno non avevo prestato così tanta attenzione. Mi capita di farci caso il sabato, ma già è tutta un’altra storia. Un giorno prefestivo dove mia madre non lavora, la casa è più calda e i ritmi sono molto più rilassati. A tutto questo movimento e a tutti questi suoni ce ne vuole di tempo per abituarsi. Ma poi, una volta che non fanno parte del tuo quotidiano ti mancato così tanto che sei costretta a simularli tu stessa. Il suono della sveglia di mio padre. I passi quasi impercettibili di mia madre. Lo scendere giù dal letto di mio fratello. Il rumore della moka. La tv accesa. Il suono del clacson. Ed infine…. Le chiavi che battono sulla serratura della porta. “Io non suonerò mai così”.
Benché siano passati ormai più di quindici giorni dall’inizio del Festival Internazionale del Giornalismo (#IJF: 30 aprile-4maggio2014), vorrei comunque prendere spunto da una conferenza a cui ho partecipato per riprendere a pieno “l’utilizzo” di questo mio blog. |