C’è chi crede in tutto.
Chi non crede in niente. C’è chi crede nei sentimenti che ci spingono sempre verso nuovi orizzonti. Chi invece trova la felicità solo nelle cose materiali. C’è chi è fedele ad una religione. Chi invece crede a un’ideologia. Ma tu, credi? Credo nell’amore, quello antico, puro, solido. Quell’amore in cui si dà tutto, e si riceve tutto. Quell’amore che ti spinge a dire “sì, è questa la mia nuova casa”. Un amore sempre attivo, nemico dell’abitudine e della pigrizia. Quell'amore che ti porta ad accettare i suoi difetti (che tanto – per quanto tu possa faticare – resteranno sempre li, trasformandosi in “segni di riconoscimento”), i suoi sogni, le sue speranze e i suoi obiettivi. Credo nell’amicizia, che ti fa perdere il fiato dalle risate, fino a sentir dolore. In quell'amicizia che il tempo non logora, anzi lo fortifica. In cui ti senti davvero libera. Quell’amicizia dalle lunghe telefonate e dalle grandi chiacchierate. In cui i consigli diventano quasi ordini, e i prestiti si trasformano in “regali”. Credo nell'amicizia in cui un diario segreto non serve, perché ci sono loro (le amiche) a essere i tuoi segreti più preziosi. Credo in quell'amicizia fatta di lunghe litigate, che finiscono sempre con un “prestami il mascara, che si è tutto sbaffato”. Credo nella famiglia, eterno rifugio. Unico posto in cui si parte, ma nel quale si può sempre far ritorno. Credo in quella famiglia, che di bianco ha solo la tovaglia per i giorni di festa. In quella famiglia dove c’è il più forte legame. Credo nella famiglia in cui la mamma è troppo apprensiva e il babbo troppo brontolone. In cui si fissano degli orari, che puntualmente non si rispettano (“appena arrivato, si è chiuso il passaggio al livello”, “volevo arrivare prima, ma che traffico!”). Credo nella fratellanza, e alla sua unione. Credo al legame saldo che può unire un fratello ad una sorella, che per quante grida ci saranno, per quanti cuscini voleranno, mai si spezzerà. Credo in fratellanza che ti spinge a raccontar fandonie ai tuoi genitori, solo per proteggerlo dalle conseguenze (anche se le meriterebbe, eccome!). Credo a quel sentimento che ti fa dire “tu con lei ci puoi uscire, ma se gli fai del male «ti spiezzo in due»”. Quella fratellanza che, in qualunque luogo, tempo, spazio, ci sarà sempre. Per questo si, io credo. "SE TI SERVE CHIAMAMI SCEMO; MA IO ALMENO CREDO."
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La foto è presa da Flickr. Questa mattina ho partecipato ad una conferenza. Omaggio in onore di Luigi Fiorentino. Poeta, traduttore, impegnato nella letteratura ispanica. È vissuto nel XXI secolo (1913-1981). Le conferenze hanno un difetto insito: non sai mai cosa aspettarti dagli ospiti e relatori. Perfino il tema più saggio e bello del mondo, può diventare apatico – perfino noioso – se colui che è chiamato ad intervenire, non è in grado di affrontare una platea. La sala era gremita – questa è la sensazione che si ha, quando le aule-convegni sono molto piccole; alunni per lo più, qualche professore interessato ed infine i relatori. Non sapevo cosa aspettarmi da questa conferenza. Il nome dell’ “onorato” mi era totalmente nuovo. Francamente avevo partecipato solo perché – alla fine della relazione – mi sarebbero stati convalidati dei crediti aggiuntivi. “Male non è” ho subito pensato. Ciò che subito mi ha colpito è stata una donna. Seduta in prima fila, visibilmente commossa, teneva in mano delle brochure. Elegantissima. Scavati nel suo volto i segni di un dolore troppo grande, che il tempo non ha ancora attutito. Luigi Fiorentino lo conosce molto bene, più di chiunque altro. Lo ha amato. Lo ama ancora. Lo amerà per sempre. Lo aveva giurato davanti a Dio quando nel 1971 lo aveva sposato. E quella promessa l’ha sempre mantenuta. Ancora, benché siano passati 32 anni dalla sua morte, il ricordo è più che mai vivo. Nei suoi occhi, come nel suo cuore. Sale sulla cattedra. Il suo è stato l’intervento conclusivo a questa conferenza che – contro le mie aspettative iniziali – ha arricchito il mio bagaglio culturale, in modo splendido. (“Non giudicare mai il libro dalla copertina”. Oggi l’ho ben capito.) I suoi occhi a stento trattengono quelle lacrime che, ancora oggi – a riparo da sguardi indiscreti – continua a versare. Solo le lacrime di una moglie che piange suo marito scomparso. Sono lacrime di una donna ancora follemente innamorata di un uomo che le è stato portato via troppo presto. Composta nel suo dolore, illumina la stanza quando inizia a raccontare la sua storia. Francisca Maria Cruz Rosòn conobbe il suo Luigi quando ancora era una studentessa universitaria spagnola, arrivata in Italia – quindi a Siena – per frequentare la Scuola di Lingua e Cultura Italiana per Stranieri (oggi Università per gli Stranieri). Fiorentino – all’epoca – era un docente universitario. Il loro primo incontro fu più che mai fortuito. Lei era una borsista presso l’Università di Madrid e perché questo “titolo” le fosse riconosciuto, ebbe l’urgenza di far firmare i documenti ufficiali proprio al professor Fiorentino. Lui le firmò gli atti e in cambio ricevette l’aiuto di quella giovane ragazza nella traduzione di alcune poesie spagnole. A dividerli c’erano oltre trent’anni di differenza, una burocrazia – oltre che la cultura e gli schemi sociali – che non permetteva relazione tra alunni/professori, kilometri di distanza. Ad unirli c’era quel sentimento d’amore che aveva colpito entrambi fin dal primo loro incontro. Un amore forte, puro, sincero; indivisibile. Restarono insieme per lunghi dieci anni. “I più belli e ricchi della mia vita”, ammette lei. Guardo gli occhi di questa donna e vedo luce mentre parla. Parla di suo marito come se fosse li, in platea. La sta guardando con “i suoi occhi azzurri, che mi hanno fatto innamorare”. Pronuncia parole dolci, leggere, piene d’amore. Non ha paura, né si vergogna di esprimere un sentimento così forte. La osservo e vedo gioia quando ricorda quegli amabili momenti. È fiera quando parla del suoi Luigi. La sua integrità morale, lo aveva portato più volte a scegliere tra cosa è giusto e cosa è semplice. “Sceglieva sempre la cosa giusta, ma mai quella semplice” lo dice ridendo. Apre il suo cuore e con parole sincere e affettuose fa un augurio, a tutti noi. “possiate trovare un uomo o una donna che vi ami quanto lui ha amato me, ed io abbia amato lui”. Grazie Francisca, per aver insegnato a me, semplice studentessa, quanto grande e immenso possa essere questo sentimento. Grazie per aver mostrato senza alcun pudore il suo amore incondizionato verso un uomo che - malgrado la sua assenza fisica – è costantemente presente nel suo cuore. Grazie per essere il “testimone” di un sentimento puro, genuino e senza macchia, figlio di un tempo e di uno spazio eterni. Grazie per aver portato in me la consapevolezza che un amore può, tutto può. Grazie signora Francisca, grazie per aver amato. Perugia, 19 novembre 2013 |