Questa mattina – mentre mangiavo a fatica il mio biscotto quotidiano, per poter finalmente prendere l’antibiotico – mi sono soffermata ad osservare un’immagine. In realtà ne ho solo udito i rumori, ma è una scena già vista centinaia e centinaia di volte. La mia casa, dalle 6.50 alle 7.40 prende vita, letteralmente. Boom, esplode!! 50 minuti in cui tre persone (mio padre, mia madre e mio fratello) si muovono contemporaneamente, in modo quasi meccanico e in perfetta sintonia. La sveglia che suona e mio padre che si alza. Sempre 10 minuti prima di tutti, perché anche lui, dopo tutto piace svegliarsi con calma. E benché a casa mia ci siano tre bagni, a tutti noi pesa fare le scale per scendere o salire di un piano. Preferiamo fare la coda, quasi fossimo alle poste o alla cassa automatica (eh si! Qualche volta ci scappa anche l’insulto con chi sta dentro). Quindi mio padre non vuole perdere il posto, il primato insomma. Esce e scatta il numerino, mia madre si intrufola per non far uscire nemmeno un briciolo di calore. Il suono dell’acqua che scorre e tocca il suo viso, mischiato al rumore della Moka che sale. Santa colazione a casa Brozzetti. Si apparecchia la tavola a festa (“casomai arrivasse qualcuno”), perché a noi piace scegliere, per poi ricadere – ovviamente – ognuno sempre sulle stesse cose mangiate la mattina prima (e prima, e ancora prima, fino agli ultimi dieci anni di vita). Prima mio padre e mia madre - che fanno da sempre colazione insieme, poi mio fratello. Ha una sveglia tutta sua, lui. Non il telefono, non la radio sveglia. Ha una sveglia molto più tosta, ma molto (molto) d’effetto. Le urla di mio padre che ogni mattina lo fanno tirar giù dal letto a fatica, che lo spingono in bagno, poi a fare colazione ed infine in macchina per raggiungere il pullman. Sotto la mia finestra il suono assordante del clacson che mio padre suona incessantemente, mentre in casa mia madre urla scandendo i minuti - iniziando dalle 7.25 – quasi da un secondo all’altro scoppiasse una bomba: “setteeventicinqueeeee… setteeventiseiiiiiiiii… setteeventisetteeeeeee… setteventottoooooo…” E così via, finché mio fratello non sarà fuori dal portone, e lei si sentirà soddisfatta di avercela fatta anche questa mattina. Boom! Il portone sbatte e metà della famiglia è già fuori. Rimane la scia delle chiavi che continuano a sbattere contro la serratura della porta. Diin, Diin, Diin, Diin, Diin, Diin, Diin, Diin, Diin, Diin. Un suono forte, poi sempre più lieve, fino all’ultimo Diin, quasi impercettibile. Poi il silenzio più assoluto. Io nel letto, e mia madre che fa le sue cose, silenziosamente. C’è rimasta solo lei, che si affretta a fare tutto quello che può, sempre in perenne ritardo. Se la prende con gli orologi, che le ricordano sempre troppo spesso di quanto sia (troppo) tardi. Quando sono in ritardo io – cioè sempre – casa diventa piena di ostacoli e non faccio altro che correre da una stanza all’altra alla ricerca di non so bene nemmeno io cosa. Urlo con il vento, faccio tremare casa. Ma lei no. Nel suo caos lei è tremendamente silenziosa: né i suoi passi, né la sua voce, né i suoi movimenti, niente. Solo un unico rumore echeggia da lontano, quello della tv accesa. Spenta la tv, un altro battito di portone e poi niente più. Solo un abissale silenzio. Sono le 7.40 e la casa ha già smesso di essere in movimento. Ormai persa sotto otto chili di coperte a causa di una bruttissima tonsillite (quindi febbre) non posso far altro che pensare e guardare dalla mia finestra le foglie cadere. E dato che la notte non riesco a dormire, inverto orari e abitudini. Solitamente mi addormento quando tutti gli altri sono a scuola e passeggio per casa quando gli altri sono persi nei loro sogni. Non avevo mai fatto caso a questa nostra abitudine, o per lo meno non avevo prestato così tanta attenzione. Mi capita di farci caso il sabato, ma già è tutta un’altra storia. Un giorno prefestivo dove mia madre non lavora, la casa è più calda e i ritmi sono molto più rilassati. A tutto questo movimento e a tutti questi suoni ce ne vuole di tempo per abituarsi. Ma poi, una volta che non fanno parte del tuo quotidiano ti mancato così tanto che sei costretta a simularli tu stessa. Il suono della sveglia di mio padre. I passi quasi impercettibili di mia madre. Lo scendere giù dal letto di mio fratello. Il rumore della moka. La tv accesa. Il suono del clacson. Ed infine…. Le chiavi che battono sulla serratura della porta. “Io non suonerò mai così”.
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